Il ventaglio di Goldoni nello splendido spettacolo di Luca Ronconi all’Argentina
Sottratto al gioco settecentesco, Il Ventaglio di Carlo Goldoni nell’edizione di Luca Ronconi, per Il Piccolo Teatro di Milano, diviene rappresentazione di una società nel pieno della sua trasformazione mentre fa fatica ad affermarsi una maggiore attenzione per il lavoro e la condizione dei più umili.In questa chiave moderna e realistica abbiamo visto lo spettacolo all’Argentina, con una vasta scena teatrale (opera magistrale di Margherita Polli e costumi di Gabriele Mayer). Carlo Vallauri
I personaggi si presentano con immagini e parole che recano subito il segno della incisività. Giulia Lazzarini e Pia Panciotti, come vedova Geltrude e sua nipote Candida, rivelano rispettivamente riserva e slancio di una classe che cerca di mantenere il suo ruolo, come mostrano anche il barone del Cedro (un aitante Giovanni Crippa) e il machiavellico conte di Rocca Marina (l’esemplare Massimo De Francovich).
Con lo stesso occhio lo spettatore può gustare lo spaziale Timoteo (Riccardo Bir), la giovane contadine Giannina (l’irruenta Federica Castellini) mentre l’utile merciaia (Francesca Ciocchetti), il furbo oste (Gianluigi Fogacci), il deciso calzolaio (Simone Toni) ed il fratello di Giannino (Giovanni Vaccaro) e lo svelto Simoncino (Pasquale de Filippo), il signor Evaristo (un preciso Raffaele Esposito) e un servitore di signore, degno emulo di Arlecchino (Matteo Romoli), come un servitore d’osteria (Marco Vergari) assieme agli altri garzoni (Ivan Alovisio, Gabriele Falsetta e Andrea Luini) fanno da complemento alla folla in scena.
Abbiamo qui usato alternativamente gli aggettivi qualificativi ora riferiti al personaggio costruito da Goldoni ora per sottolineare l’immedesimazione degli attori perché la perfetta regia di Ronconi ha saputo identificarli in una realizzazione esemplare, sorretta da una visione che sembra evocare le piazzette e i locali interni, i negozi e i piccoli laboratori di una città universale nella sua estrinsecazione di sentimenti e di ceti sociali differenziati.
Una commedia intrisa di valori e di stati d’animo, di allegra estrinsecazione di umori, passioni, ripicche e speranze che attrici ed attori reciprocamente si scambiano, esprimendo al massimo livello il pur semplice congegno goldoniano nel rappresentare sul versante classico un mondo da penetrare e contemporaneamente da svelare.
Nell’aver pienamente raggiunto questo articolato modello scenico è il merito maggiore del regista che il pubblico romano d’altronde ben conosce avendolo apprezzato negli anni scorsi. Carlo Vallauri