All’ Ambra Jovinelli di Roma, www.ambrajovinelli.com Ninni Bruschetta ha portato in scena la storia degli atti del processo della morte di Giuseppe Fava.
Francesca Pistoia
Atti ricostruiti in forma teatrale, ma con una forte aderenza alla verità delle cose che in quel dibattimento furono dette. E a pesare di più, nonostante la narrazione convincente di Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro, sembravano più essere le parole non dette. L’ archetipo del teatro-verità è quello che sembra avere in mente Claudio Fava nella ricostruzione della storia; le tavole di un teatro scelte più come pretesto per raccontare un tempo e un luogo. Il tempo è quello dell’omicidio di Pippo Fava, assassinato dalla mafia davanti all’ingresso del Teatro Stabile di Catania il 5 gennaio 1984. Il luogo è la sua città che, nel racconto teatrale, diventa - di volta in volta - il luogo della ribellione e quello della rimozione.
L’oscillazione, il bilico, la doppiezza di tutte le città di frontiera. Sia essa luogo geografico che luogo della mente. Catania: una città capace di celebrare i propri morti, rispecchiarsi nella loro battaglia e di divorarne al tempo stesso la memoria. Catania, Napoli, Palermo: tutte lo stesso bilico, tutte sospese tra baratro e riscatto. Gli oltre sessanta minuti di spettacolo hanno raccontato stralci di un processo che è stato, come raramente accade, un processo che si è concluso con la condanna dei veri colpevoli, degli esecutori e dei mandanti. Ma a leggerne e a sentirne gli atti ne viene fuori una società al limite del grottesco.
Latitanti che girano scortati dalle forze dell’ordine, giornalisti che negano l’esistenza della mafia a Catania (in quegli anni!), boss che uccidono personaggi scomodi per far piacere a qualcuno o per dare un segnale di amicizia ad un’altra cosca. Di nuovo il bilico, stavolta tra tragedia e burlesca fantasia. Duecentotrentaquattro udienze, duecentosessanta testi ascoltati, seimila pagine di verbali. Di quel processo, poco conosciuto, oggi resta in apparenza solo una sentenza di condanna, ormai definitiva. Come la celebre Istruttoria di Peter Weiss non è solo il canto d’orrore e di dolore per l’inferno dei lager nazisti, anche questa istruttoria racconta la morte di un giornalista per narrare tutta la ferocia della mafia, l’oltraggio irrisolto della sua violenza, la viltà dei complici. E soprattutto la rabbia dei sopravvissuti. Si è replicato fino al 27 gennaio.