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Come sono finiti i giganti... della montagna

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Come sono finiti
i giganti… della montagna

Federico Tiezzi ha realizzato all’Argentina una edizione dei pirandelliani Giganti della montagna che sarà ricordata, oltre che per la bellezza dello spettacolo in sé, per il finale originale di Franco Scaldati.
Carlo Vallauri

 

Gli spettatori novizi non possono non aver apprezzato l’incontro tra i “fantasmi” (così il grande drammaturgo li aveva inizialmente denominati) degli Scalognati e gli attori della compagnia della Contessa. Ma allo “scontro” (come il regista lo definisce nel ricco programma di sala) tra i due gruppi si aggiunge la minaccia dei giganti, rinchiusi in un loro mondo lontano da tutti.

 


Vengono così in evidenza i temi dei rapporti tra entità differenti, ciascuna delle quali guarda solo alla propria sfera. E quale è la “vita” vera, quale il sogno che spinge ben al di là d’ogni anelito?Nel dialetto materiale di Scaldati, portato in scena nella seconda parte, c’è ben oltre una cadenza particolare: si avverte la volontà di connotare i fatti scenici – come evidenziano tra l’altro le foto inserite nel programma – attraverso tecniche che riconducono al duplice linguaggio dell’oralità e della finzione felliniana, rivelata sin dall’apertura del sipario nella scenografia semplice (di Pier Paolo Bisleri), nei costumi coloratissimi (di Giovanni Buzzi), nel movimento degli attori.

 

La drammaturgia di Sandro Lombardi e di Federico Tiezzi acquista così una sua singolarità, nella quale l’arrivo della Contessa costituisce un pezzo di bravura che Iaia Forte ha regalato al plaudente pubblico romano.

Giuseppe Tramontano


Un evento che segna un punto all’attivo del Teatro di Roma e che l’intera compagnia ha realizzato al meglio delle sue qualità.
Un dubbio rimane: oltre la scena, il sogno ed oltre il sogno, la vita. Ma cosa intendono dire i giganti? Sono essi forse la personificazione di uno sforzo al di là delle possibilità umane e che può cancellare sogno e vita?

 

Al sogno si contrappone – inesorabile – il materialismo che l’ultimo Pirandello sente avanzare dai monti e che da allora ha compiuto tanti passi in avanti. Ecco perché questa rappresentazione ha un suo inconfondibile segno di riflessione e, nello stesso tempo, di ricerca nella frantumazione dei mondi preannuncianti del soggettivismo idealistico e che può far intravedere nel pensiero del grande agrigentino l’aspirazione a più alti perseguimenti di valori mentre attorno incombono minacce ancora incombenti. Accanto a Sandro Lombardi (un mago Cotrone creativo) da elogiare gli attori (tra gli altri Silvio Casigliani, Debora Zuin, Massimo Verdastro, Alessandro Schiavo, Alexander Karlic e Marion D’Amburgo) che hanno contribuito al festoso successo della rappresentazione.
Carlo Vallauri