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Burri a Mamiano di Traversolo

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Burri a Mamiano di Traversolo

Un’ulteriore mostra sull’opera di Alberto Burri è presentata alla Fondazione Magnani Rocca, dall’8 settembre al 2 dicembre 2007, con la collaborazione della Fondazione Burri di Città di Castello, con 60 pezzi, foto e libri. Curata da Chiara Sarteani e Simona Tosini Pizzetti, ha un catalogo Silvana editoriale.
Emilia Dodi

Esterno della Fondazione Magnani Rocca

La mostra sulle opere del grande maestro della matericità prende spunto da due pezzi Sacco del 1954 e Combustione del 1962 acquistati direttamente da Luigi Magnani, uno dei collezionisti che aveva compreso, ab inizio, tutto il valore di quest’artista.
Si possono ammirare ben 60 pezzi, 5 foto che ritraggono sia l’artista, che il luogo da lui scelto in vita per la donazione delle proprie opere, nonchè sei testi dei quali alcuni con opere grafiche originali.

Alberto Burri, Combustione
(con dedica a Luigi Magnani), 1961

Parlare di Alberto Burri, della sua vita e dei suoi esordi è ormai talmente scontato da non risultare più interessante, basterà dire che il maestro ha introdotto nelle sue opere l’elemento oggettuale reale che rientra nella pittura e risulta divenire materia pittorica.

Alberto Burri, Grande ferro, 1961

Burri non fu solo un’artista di respiro europeo, ma anche internazionale e la sua influenza sui colleghi coevi e delle generazioni successive, è stata anche posta in luce dalla mostra tenutasi nel 2005-2006 alle Scuderie del Quirinale di Roma.

Alberto Burri, Cretto G 3, 1975

Antesignano della matericità, già negli anni ’40 dello scorso secolo con i suoi “sacchi”, è stato la figura di eccellenza nel panorama di questo movimento. La retrospettiva parte con l’opera Catrame del 1949 del periodo della sua adesione al Gruppo Origine, passando ai sacchi tra i quali Bianco del 1952, che ispirarono Rauchenberg per i suoi Combing Paintings, ma anche Gobbo bianco del 1953 che fece da guida ad alcuni artisti americani della corrente Shaped Canvas.

Alberto Burri, Cellotex, 1984

Tutto questo senza escludere l’impiego del ferro, delle materie plastiche e delle bruciature, come Combustione del 1956, Legno del 1957, Ferro del 1959, per arrivare al bellissimo Rosso plastica del 1962 -1963.

Alberto Burri, Cellotex P6,1984

L’impiego del Cellotex parte dalla fine anni’60 fino alla metà degli anni ’90, con alcune diversificazioni, mentre gli anni ’70 sono l’epoca più importante per i famosi Cretti, come il Cretto nero del 1973 e Cretto del 1974.

Alberto Burri, Catrame, 1949

Per inciso, quando si parla di Cretti non vanno dimenticati quello grande del Museo di Capodimonte, in nero, e soprattutto quello bianco realizzato per Gibellina, coprendo le macerie della città terremotata con il cemento, dove dentro alla spaccature si cammina, rendendo imperitura la città scomparsa.

Alberto Burri, Rosso Plastica, 1962

In mostra non potevano mancare le opere dell’ultimo periodo dove sul Cellotex è posto in parte l’oro in foglia, come nei celebri pezzi Nero e Oro del 1993 e del 1994.

Alberto Burri, Nero e Oro, 1993

Burri ha avuto senz’altro anche un’importante influenza sull’arte povera, su artisti come Kounellis, Pascali, Pistoletto e altri ed anche sulle istallazioni ambientali ad esempio su Ceroli e Kiefer.

Alberto Burri, Bianco, 1949

Un’ autentica mente innovatrice.
Emilia Dodi

Alberto Burri
(foto di Aurelio Amendola)