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Pedro Cano, umanità in cammino

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Pedro Cano, umanità in cammino

E’ una riflessione sulle grandi migrazioni contemporanee, sulla vita e sulla morte, l’ultimo ciclo pittorico del grande artista spagnolo Pedro Cano, maestro dell’acquerello. Dopo i cicli dei fiori e dei frutti, dopo le porte e le mura di Roma, dopo la trascrizione in forma di pittura de Le città invisibili di Calvino, Cano torna al tema della figura appreso all’Accademia in gioventù, cimentandosi con la tecnica dell’olio su lino.
Laura Gigliotti

 

 

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E’ incentrato sul tema della figura l’ultimo ciclo di opere di Pedro Cano, il pittore spagnolo che da quarant’anni vive buona parte dell’anno a Roma e ad Anguillara. Un nomade dell’arte, cittadino del mondo e della bellezza, insuperabile nella tecnica dell’acquerello, autore di affascinanti cicli  di fiori e frutti su carta, famoso per le porte e le mura di Roma e per aver interpretato le Città invisibili di Italo Calvino, alle Terme di Diocleziano presenta una dimensione meno nota della sua arte, anche se non nuova, la figura umana e l’uso della pittura a olio, appresi all’Accademia di Madrid e confermati a Roma con lo studio dei classici.

 

   
Maestro nell’acquerello, Cano non è da meno nell’olio su lino che assume le tonalità e la leggerezza delle opere su carta. Le opere in mostra, alte due metri, rappresentano uomini e donne in movimento, visti di spalle.

 
Identità in transito è il titolo della mostra che rimarrà a Roma fino all’8 giugno per trasferirsi nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze, quindi in Spagna, poi alla Fondazione intitolata al pittore nella sua città natale,  Blanca in Murcia. Nell’agosto del ‘91 una carretta del mare stracarica di disperati approda nel porto di Bari. E’ la prima volta che l’Italia si confronta in modo così diretto e traumatico col fenomeno dell’immigrazione clandestina.

 

Una marea di gente che deborda dai ponti, spenzola dalle murate, felice di aver raggiunto la meta dopo giorni di un viaggio allucinante. E che verrà sistemata nello stadio sotto il sole, in un caldo asfissiante. Immagini che invadono tivù e giornali per giorni e giorni. E che sollecitano la riflessione di Pedro Cano, che si chiede il senso di quelle presenze, di quella gente senza identità, che ritrova nelle grandi città del mondo.

 

Da lì nasce l’idea di un racconto per immagini. Non sulla scia dell’emozione, ma sedimentate dal tempo. “In un grande quaderno ancora intatto che avevo comprato molti anni prima a New York iniziai a disegnare delle teste viste da dietro e a poco a poco passai a tracciare figure intere di uomini e donne sempre di spalle…”, racconta il pittore mostrando l’album.

 

I trenta piccoli acquerelli su carta intelata di teste maschili e femminili della prima sala, disposti uno accanto all’altro in regolare sequenza, fanno da prologo ai grandi dipinti, che occupano l’XI Aula del Museo delle Terme di Diocleziano. Su una specie di zattera di assi legno, realizzata da un gruppo di architetti dell’Università La Sapienza guidati dal prof. Piero Albissini, si stagliano le sagome dei viandanti che sembrano dissolversi nel nulla. Il piano inclinato, di chiaro effetto scenografico, accentua la prospettiva del percorso. I dipinti sono poggiati in mezzo alla grande aula come fossero persone in cammino, che si vedono solamente di spalle, schiacciate dalla grandiosità dell’ambiente.

 

Il volto si può al massimo intuire. E’ il corpo, sono i movimenti, i gesti che fanno immaginare l’identità nascosta che mai potremo scoprire. Forse va bene così, quello che vediamo ci basta. Ecco la ragazza che cammina svelta nel suo fresco abito bianco, ecco il massiccio suonatore di fisarmonica, il ciclista aitante, il vecchio stanco sulla panchina, l’anziana in ciabatte con le buste della spesa. E ci piace seguirli uno a uno e pensare la loro esistenza. Un’umanità spesso dolente, a cui l’artista si avvicina con compassione e che traduce in brani di altissima pittura. Il pensiero si fa forma e bellezza nel prevalere dei monocromi, del tono su tono, dei colori che sprofondano nel bianco, della luce che illumina il buio della scena, delle sfumato che accentua la lontananza e il mistero.

 

Rare le tinte diverse da quello dell’insieme, ma bastano a riassumere il senso di una storia. Quella dell’anziano senza una gamba, appoggiato alla ringhiera, col cappellino rosso.La rassegna è accompagnata da un catalogo bilingue, edito dalla Regione di Murcia, con una nota introduttiva di Lorenza Trucchi, la firma più prestigiosa dei critici romani. “ L’ultimo pezzo”, avendo deciso di non scrivere più.  Per lui fa un’eccezione.
Laura Gigliotti