Al Teatro Olimpico di Roma, fino al 27 aprile, la divertente commedia scritta, diretta, ed interpretata da Vincenzo Salemme, Bello di papà. Un uomo che arrivato a cinquant’anni non vuole diventare padre, si ritrova suo malgrado a fare il genitore ad un suo amico. Ma alla fine sarà tutto un bluff. Da vedere senz’altro. Giancarlo Leone
Un sipario si apre svelando l’appartamento moderno di uno yuppi, solo carriera e divertimento. La canoa posta dentro la panca divano, il pavimento nero lucido a prova di pedate, le stanze al piano di sopra. La scenografia di Alessandro Chiti è già indicativa di un personaggio particolare. Poi un letto…una luce soffusa ed una domanda ben precisa e diretta: “Ti piacerebbe avere un bambino?” Comincia così la nuova commedia scritta, diretta ed interpretata da Vincenzo Salemme, in scena al Teatro Olimpico di Roma dal 7 al 27 aprile, Bello di papà, che già nel titolo è tutta giocata sul divertimento e sull’ironia. Esagerata. Questa è l’autentica espressione di gaudio e soddisfazione per quanti cercano una serata a teatro ricca di coinvolgimento e di evasione.
Questa commedia è quella che s’intende per “teatro vero”, quella in cui si recita con passione, con coinvolgimento, espressione e tanta fatica. Tutto questo è Vincenzo Salemme e la sua fatica, intesa come sacrificio, ma piacevole, quella che la fa calare nel personaggio, facendolo recitare in scena per il 70% dello spettacolo, dialogando, monologando, gestendo tutto con sagacia e passione. L’attore napoletano, sempre attento alle relazioni familiari, stavolta parte da un luogo comune per stravolgerlo, mettendo in scena una realtà molto italiana: la volontà di non procreare. La vicenda di Antonio, affermato dentista cinquantenne, eternamente fidanzato con Marina, tutto preso dalle sue priorità e dalla determinazione a non compromettere uno status quo ideale con un figlio, diventa simbolo di molte coppie. Allora ecco pronto lo stratagemma. Come convincere uno scapolo, un Peter Pan refrattario ai bambini a cambiare idea? Con la simulazione, con il gioco, con l’equivoco.
L’aiuto di uno psicologo (Giovanni Ribò), un’assistente, la sua fidanzata (Biancamaria Lelli) e l’amico Emilio (Massimiliano Gallo) in ipnosi indotta costretto ad una regressione dell’età evolutiva, sono gli elementi dell’éscamotage architettato per far vivere ad Antonio (Salemme) l’esperienza della paternità. Ma vivere nella veste di genitore imposto per senso d’amicizia può giocare brutti scherzi. Si devono accettare i compiti domestici, la naturale propensione dei maschi verso le mamme, le feste di compleanno con i parenti. Si finisce per accettare un’idea sempre rifiutata e soffrire quando c’è l’imprevisto che cambia le regole del gioco. Il protagonista vive in uno spazio tempo concentrato di diciotto anni. Tanti quanti sono necessari per curare la depressione di Emilio, in cerca della figura paterna.
Gli equivoci non mancano e neppure le risate. L’autore agisce sullo spirito partenopeo, sul rito del pranzo, sul linguaggio giovanile. Mette in scena dialoghi intelligenti, molto ricchi, densi di battute spiritose, simpatiche, comiche, mai sopra le righe. Una comicità che fotografa anche momenti di vita reale. Salemme sviscera rapporti complessi tra cognati sottomessi alla vita e uomini che non vogliono crescere e donne moderne che chiedono molto. In questa commedia non c’è una morale se non quello che tutto si può fare ma non prima di aver spento la diciottesima candelina.
Due ore e mezza di sane risate, di continuo sorriso, anche qui esagerato, ma nel bene e non nel male. Bravi tutti gli altri interpreti che sanno rendere questa storia grottesca, veramente piacevole. A cominciare da Domenico Aria, nella parte del fratello di Antonio, Attilio, Rosa Miranda, Sheila, moglie di Attilio, Antonio Guerriero, l’odontotecnico, Roberta Formilli, una paziente del dentista, AdelePandolfi, la mamma di Antonio. Piacevoli le musiche di AntonioBoccia. Sicuramente da vedere, spettacolo molto consigliato. Giancarlo Leone