Un’ Italia divisa al bivio
vista da Luigi Mazzella

Il funzionario dello Stato, integerrimo magistrato, Luigi Mazzella, prima di ascendere alle più alte cariche, quale ministro della Funzione pubblica poi come membro della Corte Costituzionale, si è reso noto ad un vasto pubblico con i suoi libri di saggistica e narrativa. Torna ora ai suoi affezionati lettori, sempre più numerosi, con La passione della ragione. Un diario senza giorni edita da Avaglione editore.
Carlo Vallauri

 

 

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È una raccolta di saggi che passano dalla politica internazionale e il ruolo dell’Occidente alle vicende italiane: l’Autore si sofferma in particolare sul nostro “individualismo”, che è stato ed è – egli scrive – più temperalmentale che filosofico. Contro i “portatori sicuri ed irrevocabili di verità” la sua denuncia è serrata, come d’altronde egli appare scettico nei confronti di quanti si battono per l’eguaglianza degli esseri umani, giacché risultato della loro azione è stato il dominio incontrastato dei capi, un assolutismo incontrollato, dall’URSS alla Cina.

 

Quanto all’Europa Mazzella tende a metterne in rilievo le “grane”, e riporta le sue valutazioni circa i possibili esiti della consultazione elettorale del 2008. Richiama l’attenzione sull’anomalia della legislazione italiana in materia di espropriazione per pubblica utilità. Sull’eventuale arrivo di “un uomo della Provvidenza” non manca di esercitare il suo godibile sarcasmo.

 

Molte note sono evidentemente compilate sull’onda della contingenza, da Beppe Grillo ai festival del cinema, materia di cui l’autore ha specifica competenza, tecnica ed organizzativa. Dove l’acutezza del saggista prevale sul quotidiano commento è nelle belle pagine sul “perdonismo” adottato in Italia a favore dei terroristi, una strada inclinata sulla quale la società italiana rischia di cadere nuovamente.

 

Circa prevedibili scenari Mazzella ha manifestato – quando scriveva sul possibile esito positivo del noto referendum abrogativo – dubbi sul ruolo di due coalizioni eterogenee e per di più rissose al loro interno.

 

D’altronde è il destino delle coalizioni, anche se non sembra diversa la condizione di singoli partiti, divisi al loro interno persino sui problemi fondamentali, a cominciare da quelli etici. È la difficoltà della democrazia italiana ormai ridotta a un colabrodo (l’espressione è tutta nostra, pare difficile pensare ad una via d’uscita), ma forse qualche maggiore speranza dal futuro potrà venire dall’influenza positiva di gruppi minoritari, meno legati ai poteri dominanti, e non dalla prevalenza di partiti omnibus, dove in tanti possono salire ma solo pochi comandare.

 

Restano da elogiare le qualità critiche dell’autore, il suo disinteresse e la sua capacità di guardare al di sopra delle mode correnti e dei gusti variabili. Meno convincente a noi pare l’accenno finale ai “ricatti politici” di partiti e gruppi che in verità non sono stati i responsabili della caduta di Prodi, il quale i guai se li è andati a cercare con provvedimenti gravosi per la maggioranza della popolazione, malgrado gli ammonimenti di chi chiedeva misure più eque. Le amare parole di Mazzella sul nostro Gotha industriale e finanziario sono da apprezzare per il senso realistico che d’altronde scorre per tutte le 280 pagine del libro.
Carlo Vallauri