L’anno scorso avevano toccato con la loro tournée l’Italia del Nord. Ora approdano nel Centro Sud per proseguire il loro viaggio teatrale. Stiamo parlando di Cochi e Renato ed il loro divertente spettacolo, “Nuotando con le lacrime agli occhi” che dal 1 al 6 aprile ha fatto tappa al Teatro Brancaccio di Roma, dopo ben 35 anni di assenza dalla capitale. Visum ha intervistato Cochi Ponzoni. Giancarlo Leone
La comicità non invecchia se c’è l’affiatamento istintivo e quasi fraterno di Cochi e Renato, confermato nello spettacolo “Nuotando con le lacrime agli occhi” che, dopo aver toccato l’anno scorso l’Italia del Nord con la loro tournée, approdano, ora, nel Centro Sud per proseguire il loro viaggio teatrale. Dal 1 al 6 aprile hanno fatto tappa al Teatro Brancaccio di Roma, dopo un’assenza di ben 35 anni. L’ultima loro apparizione insieme nella Capitale al Bagaglino, nel 1972, quando era ancora a Via della Campanella. Visum ha intervistato Cochi Ponzoni.
Cochi perché questo titolo? “Nuotando con le lacrime agli occhi oltre che essere il titolo del nostro spettacolo, è anche una canzone che ha come tema il problema dei clandestini che arrivano a Lampedusa sui canotti o su barche sfasciate, o addirittura a nuoto. La canzone racconta – sottolinea l’attore - di un poveraccio che alla fine arriva alla meta, ma poi muore. Io e Renato partiamo dall’idea di fare un video clip dal vivo e ci prepariamo, per finta, a girarlo. Il pubblico all’inizio ride molto su questa trovata, perché io, istigato da Renato, mi tolgo le scarpe, mi tiro su i pantaloni, mi metto le pinne e poi comincio a nuotare in tre bacinelle piene d’acqua. Tutto questo accade dal vivo sulpalcoscenico, sempre con Renato che mi istiga a fare tutto ciò, perché io non lo vorrei fare”. Siride ma con una punta d’amarezza.
“La gente, come ripeto, si diverte tantissimo per tutta la preparazione; poi la canzone finisce in modo drammatico e allora lì scappiamo via perché si chiude il sipario e finisce il primo tempo. Si rimane- rimarca Cochi ai nostri microfoni - comunque, con la bocca amara perché poi facciamo intuire che questo poveraccio alla fine lo trovano come cadavere a galleggiare nel mare. E’ un problema che ci ha toccato da vicino ed allora ne abbiamo fatto uno spettacolo”.
Questa canzone è nata leggendo le cronache dei giornali? “E’ nata dall’osservazione e dalla voglia di proporre un tema così difficile, drammatico, cercando, comunque, di proporlo come tema divertente, senza scendere troppo nei particolari. Nello spettacolo tocchiamo altri argomenti – spiega - sempre impegnativi ma interpretati con leggerezza, usando sempre l’ironia che a me e a Renato c’è consona”.
Quali sono questi argomenti? “Usando un po’ il nostro linguaggio sempre surreale, tocchiamo i temi dell’amore, della convivenza civile, però mai ci proponiamo come obiettivo un certo tipo di argomento. Li affrontiamo sempre usando questo nostro modo di fare, un po’ comico, un po’ surreale, che non entra mai nel vivo delle cose. Così ci siamo accorti che il pubblico recepisce meglio queste situazioni, con molta più forza che non parlandone direttamente”.
Nello spettacolo c’è uno sketch dove lei interpreta un prete. “Si è vero. Quello sketch è una specie di celebrazione, dove io salgo su una sedia, mi metto un grembiule da magazziniere e comincio a leggere un libro che altro non sono che le pagine gialle. Comincio ad inveire contro i poveri che mi stanno sulle scatole, mentre Renato che mi è a fianco interpreta proprio un povero. Così comincia fra noi due tutto un gioco al massacro e in tutto ciò, io confesso pure. Ma tutto quello che viene fuori non si avvicina minimamente alla religione”. Una sorta di liturgia laica!“E’ una specie di messa laica - continua l’attore milanese - una situazione assolutamente surreale. Ma il pubblico si diverte moltissimo, ci sono molte battute, molti riferimenti a persone che fanno parte della nostra società, individuabili. Persone che vengono prese in giro per certe connotazioni, ci sono politici, gente di spettacolo, chi fa spesso gossip. Sono solo puntatine, una battuta evia, non entriamo nel vivo, giusto per far divertire il pubblico. Quello è il nostro scopo”. Divertire, ispirati dalla cronaca e dalla crisi della società, offrendo in modo surreale spunti di indagine per una riflessione profonda sul quotidiano. Questa la ricetta di Cochi e Renato che non può non essere vincente! Giancarlo Leone