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Il fascino e il mistero delle città sepolte

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Il fascino e il mistero
delle città sepolte

Al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo fino al 30 marzo sono esposti 108 dipinti staccati nel Settecento con tutti i loro sei strati di intonaco dalle pareti affrescate delle domus e delle ville vesuviane investite dall’eruzione  del Vesuvio del 79 d. C. 
Ricomposti in dimensioni reali due triclini di Moregine e il giardino della Casa del bracciale d’Oro.
Laura Gigliotti

 

 

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Venne paragonato dagli scavatori al “divino Raffaello” Teseo liberatore. il grande affresco che ricopriva l’abside della Basilica di Ercolano con l’eroe che ha appena ucciso il Minotauro nel Labirinto, ringraziato dai giovinetti ateniesi sottratti al sacrificio. E’ uno dei 108 preziosi prestiti del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (chiuso in parte per lavori), provenienti da Pompei, Ercolano, Boscotrecase, Moregine, Stabia e le ville vesuviane sepolte dall’eruzione del 79 d.C., esposti fino al 30 marzo a Palazzo Massimo. In due sale sono state ricomposte le pareti di un ambiente della Casa del Bracciale d’Oro (di età tiberiana) scavata negli anni Settanta e di due triclini venuti alla luce nel 2000 a Moregine durante i lavori per la terza corsia dell’autostrada Napoli-Salerno, prestito della Soprintendenza di Pompei.

 

Che fanno pendant con gli esemplari di pittura romana del museo,il giardino incantato (il più antico giardino dipinto, 40-20 a.C., paradigma di tutti gli altri) staccato nel 1951 dalla Villa di Livia  sulla Flaminia a Prima Porta, detta ad gallinas albas, dove venne ritrovata la statua loricata di Augusto ora ai  Musei Vaticani i resti di una nobile residenza di età augustea nel giardino della Farnesina, forse la domus di Agrippa e Giulia Maggiore (scoperta nel 1879 durante i lavori per la canalizzazione del Tevere), e i frammenti ricomposti degli affreschi di una villa lungo la via Aurelia nei pressi di Fregene, a Castel di Guido.

 

Prologo in primavera alla riapertura della Casa di Augusto sul Palatino.
“ Si taglieranno, e se ne farà tanti bei Quadri per la Galleria del Re”,  scriveva Ridolfino Venuti nel 1739 a proposito delle pitture scoperte nell’area vesuviana. La grande avventura degli scavi, ricorda Maria Luisa Nava Soprintendente di Napoli e Caserta, iniziò casualmente nel 1711, ma  gli scavi veri e propri iniziarono a Ercolano nel 1738 con Carlo di Borbone, futuro Carlo III di Spagna. Dieci anni dopo era la volta di Pompei. Una scoperta che rivoluzionerà il gusto estetico dell’epoca. 

 

La mostra “Rosso pompeiano”, curata da Rita Paris e da Rosanna Friggeri (catalogo Electa), è un’incantevole quadreria settecentesca di duemila anni fa in cui dei dell’Olimpo, mostri della mitologia, eroi, dolci amorini e fanciulle si mostrano in tutta la loro bellezza velata di mistero e di malinconia. Vanno dal I sec. a.C. e il I sec. d. C. i dipinti parietali che testimoniano la ricchezza dei temi in pittura e i quattro stili pompeiani teorizzati dall’archeologo tedesco August Mau alla fine dell’800. Illustrano il mondo del mito e del culto, il paesaggio e la natura morta, il teatro, il ritratto, le scene di genere e la pura decorazione architettonica.

 

 La mostra che si snoda ai vari livelli di Palazzo Massimo occupando intere sale o dividendo lo spazio con le sculture, La fanciulla di Anzio, la copia del Discobolo di Mirone, raggiunge il punto più alto nella ricostruzione degli interni di Moregine e della Casa del bracciale d’oro.  L’edificio dei Triclini di Moregine con approdo lungo il fiume Sarno, sarebbe da identificare con una delle deversoriae tabernae, citate da Svetonio, che Nerone faceva costruire come luoghi di ristoro, riposo e intrattenimento per i suoi spostamenti. L’imperatore vi appare in  veste di Apollo citaredo. In mostra due dei tre triclini messi in luce, a fondo nero e a fondo rosso.

 

L’altro ambiente ricostruito è lo “studiolo” della Casa del Bracciale d’Oro di Pompei, nome che legato al rinvenimento di una preziosa armilla al braccio di una donna. Un giardino di delizie in un ambiente chiuso in cui compaiono tutti i tipi di alberi, fiori e arbusti, con erme, maschere, fontane zampillanti e uccelli che volano nel cielo azzurro.

 

Uno spazio appartato dove studiare e meditare, uno “studiolo” alla maniera umanistica.
Laura Gigliotti